giovedì 28 aprile 2016

I BACI DI DAMA DI LUCA MONTERSINO PER IL TEMA DEL MESE

“I doppi sensi per ‘attaccare’ con la ragazza del tipo: «Posso darle un bacio?» e simili, hanno per patria Tortona”, scriveva Alberini su Piemontesi a tavola. La città piemontese ha infatti dato i natali a uno dei biscotti più conosciuti ed apprezzati nel nostro bel paese: i baci di dama. 
 
 
L’impasto, molto semplice, unisce alla tradizionale frolla con cui sono fatte le due metà, la farina di mandorle o di nocciole. Inizialmente sembra venissero usate le nocciole nell’impasto dei baci di dama, perché meno costose e più facili da reperire, e ancora oggi vengono infatti adoperate largamente nella zona delle langhe e nel genovesato.

I baci di dama sono dei dolcetti che appartengono alla tradizione dolciaria tortonese, anche le vere origini di questo dolce sono ancora incerte e sulla loro primogenitura è battagliata tra chi sostiene l’origine piemontese e chi invece li considera di invenzione reale.

Una leggenda infatti narra che in una sera di Novembre del 1852 nella casa reale dei Savoia, il cuoco di corte si trovò a dover esaudire la golosa richiesta di Re Vittorio Emanuele II, il quale chiese di “assaggiare un dolce dal sapore autentico e nuovo”.
Il cuoco si mise subito all’opera utilizzando quello che aveva a disposizione e fu così che nacquero i noti baci di dama, dolcetti artigianali di forma circolare composti da due calotte di frolla uniti assieme da un velo di cioccolato sciolto che a vederli sembrano proprio immortalare un romantico bacio tra due bocche innamorate.
Si racconta che da quel momento divenne un ambito dolce di corte che si propagò sulle ricche tavole dei reali europei. 

Pare però, a seguito di approfondite ricerche, che l’autentica origine provenga proprio dalla città di Tortona dove risiede la storica pasticceria dei fratelli Vercesi. Alla fine del 1800 il cavalier Stefano Vercesi decise di modificare la ricetta dei già famosi baci di dama, sostituendo le nocciole con le mandorle e aggiungendo nel morbido impasto il cacao. Nacquero così i baci dorati. Presentati alla fiera internazionale di Milano nel 1906 vincono infatti la medaglia d’oro, massimo riconoscimento di pasticceria del tempo.

Realizzati ancor oggi nel rispetto dell’antica ricetta e venduti in un elegante scatola liberty con all’interno la famosa poesia “Paggio Fernando ove son nati i gustosissimi Baci Dorati?

I Baci Dorati son Tortonesi
Li hanno creati i F.lli VERCESI;
Son squisitissimi, cari, gustosi
Come i sorrisi d'Amanti e di Sposi,
Son fatti col sugo di candidi Fior,
Tuffati e ravvolti nei Baci d'Amor!

Lassù tra le vette
Sul monte e sul piano
Nel mar, tra le lande
Lontano, lontano
Nell'Itala Libia, ciascuna domanda
I BACI DORATI (Diletta Jolanda)
Premiati alle gare
Dell'Arte e Lavor
Con Grande Medaglia
E Diploma d'Onor
 
foto da qui
 
Ad oggi hanno anche ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale della regione Piemonte e grazie alle guide gastronomiche italiane che li citano spesso, questi dolcetti sono conosciuti anche oltre i nostri confini nazionali.

Ancora oggi i baci di dama vengono prodotti secondo la ricetta originale in molti pasticcerie della città piemontese, realizzandoli con semplici ingredienti mescolati tra loro nell’impasto.

La ricetta che vi propongo oggi è quella del maestro Montersino.

Baci di dama
di Luca Montersino
 
 
Per circa 60-70 pezzi 

250g burro morbido
200g zucchero
1 tuorlo piccolo
250g farina 00
250g farina di nocciole
1 cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
1 pizzico di sale
cioccolato fondente q.b.

Lavorate il burro morbido con lo zucchero, aggiungete il tuorlo, la vaniglia e il sale. Aggiungete quindi le due farine e lavorate velocemente per ottenere una palla compatta. Fate riposare l'impasto in frigorifero, coperto da pellicola, per almeno 6 ore.

Formate delle palline di impasto piccole (di 10g circa ognuna – le mie sono da 15 e sono un po’ grandi a mio avviso) e disponetele su una teglia coperta con carta forno avendo cura di distanziarle bene. Lasciate riposare ancora 1 ora in frigorifero.

Accendete il forno statico a 140°C e cuocete i baci per circa 25 minuti. Devono essere sfornati quando sono ancora chiari e friabilissimi. Sfornate e lasciate raffreddare completamente su una gratella prima di accoppiarli con il cioccolato fondente fuso.


Sono più buoni consumati qualche giorno dopo, quindi conservarli in scatole di latta o a chiusura ermetica in luogo fresco e asciutto.
 
Potete trovare questo post anche sul blog del MTC, qui.

lunedì 25 aprile 2016

A QUATTRO MANI: BISCOTTI DI PASTA FROLLA MONTATA

Quando una settimana fa ci siamo trovate con Alessandra - My gomitoli a casa mia per produrre i biscotti che avrebbero partecipato al MTC #56, quello sui biscotti di Dani & Juri, non ci siamo mica limitate a fare solo gli ovis mollis all'olio d'oliva...
 
Il tema mi ci è così tanto piaciuto che lo stesso giorno abbiamo anche messo in cantiere dei biscotti di frolla montata.
Lei non li aveva mai fatti, né aveva mai tenuto tra le mani una sac à poche: non potevamo desistere!
 
Vi riporto giusto il commento di mia suocera:
s. - "dove li hai comprati questi biscottini? sono buonissimi"
(sguardo della serie "ti sembro il tipo che va a comprarli?!")
s. - occhi sbarrati "li hai fatti tu?!! .....questi me li devi rifare sono squisiti!"
 
Mia suocera è ghiotta, specie di dolci, e nonostante sappia ormai benissimo che sono la mia passione non mi ha mai chiesto di farle qualcosa, anche nelle occasioni o nei pranzi di famiglia; se mi ha espressamente chiesto di rifarle questi biscotti di piccola pasticceria.... devono proprio essere buoni!!
 
Mano alla sac à poche e si comincia!
 
Biscotti di frolla montata alla vaniglia
 
 
per l'impasto base
 
300g di farina debole - 170W
20g di fecola di patate
120g di zucchero semolato
200g di burro (*)
1 uovo intero + 1 tuorlo
la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
i semini di 1/2 bacca di vaniglia
1 pizzico di sale
 
per la decorazione
 
100g di cioccolato fondente
100g di cioccolato al latte
granella di pistacchio
cocco rapè
 
(*)Una piccola nota sul burro: l'ideale per la pasta frolla sarebbe quello con una percentuale di grassi dell'85%, ma nei supermercati è difficile da reperire. Noi abbiamo utilizzato un burro danese all'83%.
Se non sapete come calcolare questa percentuale, fate rifermento alla tabella dei valori nutrizionali: individuate la percentuale dei grassi su 100g di prodotto, ebbene quella è la percentuale: ad es. se ho 82g di grassi per 100g di prodotto avrò un burro all'82%.
 
Tenete il burro a temperatura ambiente per almeno 2 ore prima di iniziare la lavorazione.
 
Nella ciotola della planetaria, a cui avrete montato la frusta, inserite il burro ormai morbido e lavoratelo con lo zucchero a velocità 1,5-2. Deve incorporarsi e iniziare a montare. Quando sarà semi montato, alzate la velocità a 4-5 e lavorate per qualche minuto: deve risultare gonfio e chiaro.
 
Unite il tuorlo e l'uovo intero, in due aggiunte e aspettando che il primo sia incorporato prima di inserire il secondo, e fate montare bene il composto per 2-3 minuti.
Aggiungete quindi la farina, la fecola e il sale setacciati insieme, e poi la scorza del limone e i semi di vaniglia. Terminate di amalgamare il composto, senza lavorarlo troppo. Fermatevi quando il tutto sta insieme e risulta omogeneo.
 
 
Trasferite l'impasto nella sac à poche - o dividetelo in più parti, a seconda delle forme che volete ottenere - e formate i biscotti su una teglia rivestita di carta forno. Vi riporto una foto dal sito di Cranberry di Cappuccino e Cornetto, così vi rendete meglio conto della resa delle differenti bocchette.
 
 
 
 
L'impasto non necessita di riposo, quindi potete subito andare in cottura in forno già caldo a 180° per circa 20/25 minuti (devono essere appena dorati).
A cottura ultimata sfornate e trasferite, con l'aiuto di una spatolina, su una gratella a raffreddare.
 
 
Una volta freddi, sciogliete a bagnomaria i due cioccolati separatamente, e tuffateci i biscotti parzialmente o totalmente, a seconda dell'effetto che volete ottenere. Decorate infine con il cocco rapè e la granella di pistacchi.
 
 
Per biscotti ancora più golosi, spalmatene uno con della marmellata a vostro piacimento, accoppiatelo con un altro di uguale forma, quindi tuffatelo per metà nel cioccolato.
 
  
Riponete le teglie in frigo a solidificare per circa 30 minuti.
Conservate i biscotti in una scatola di latta, in un luogo fresco ed asciutto. Si conservano circa 7-10 giorni.

martedì 19 aprile 2016

A QUATTRO MANI: OVIS MOLLIS ALL'OLIO D'OLIVA

Lo ammetto: quando ho scoperto che il tema del MTC n°56 sarebbero stati i biscotti mi è uscito un gridolino di gioia: grazie Dani & Juri!!
Non ho fatto mai mistero della mia passione per la pasticceria alla community, e infatti sul dolce più che sul salato mi sento più sicura - e si vede! - conosco meglio tecniche e materie prime, e azzardo, in luce di ciò, sicuramente di più.
L'MTC è infatti un banco di prova che mi aiuta ad acquistare sicurezza dove ne ho più bisogno - e quindi sul salato - e allo stesso tempo, nonostante sia ferrata, mi fa approfondire molte delle cose che già conoscevo sul dolce.
 
Ça va sans dire, anche questo mese è stato così.
 
La pasta frolla è sicuramente una delle basi della pasticceria che si DEVE conoscere; ce ne sono diverse, con diverse consistenze e differenti utilizzi e rese: frolla classica, pasta sablé e frolla montata. La redazione ci ha proposto una serie di approfondimenti e trucchi per conoscere ogni più piccolo segreto di questa pasta meravigliosa: imperdibili!
 
Questo  post è stato preparato e scritto a quattro mani, dalla mia amica Alessandra del blog My gomitoli e me - il suo post, qui.
Lei è una bellissima e dolcissima ragazza che ho conosciuto durante il mio periodo di lavoro presso il call center: da subito c'è stato feeling e siamo diventate molto più che ottime amiche - inutile dire che la passione per la buona cucina ed il "fatto in casa" ci unisce. A lei infatti ho anche donato un po' del mio lievito madre, che ha a sua volta donato a un paio di amiche e a sua sorella.
 
Ma veniamo a noi.
L'idea era di fare dei biscotti di frolla ovis mollis, senza burro. La scelta è caduta immediatamente sull'olio extravergine d'oliva che noi acquistiamo direttamente da una coppia di fratelli nostri amici che lo producono nel loro uliveto sulle colline teramane.
 
E' stato un po' un salto nel buio. Durante il procedimento infatti la mia paura era che la consistenza sofficissima dell'ovis mollis avrebbe potuto essere compromessa dall'assenza del grasso animale nell'impasto. Mi sono dovuta ricredere. Infatti non solo ho ritrovato la stessa consistenza, ma devo dire che sostituendo l'olio al burro il gusto è strepitoso. Si va a perdere quell'inconfondibile aroma di burro, ma si guadagna un profumo favoloso e un delicatissimo sentore d'olio d'oliva.
 
Ovis mollis all'olio d'oliva 
 
 
4 tuorli freschissimi
160g di farina 170 W
80g di zucchero a velo
120g di olio extravergine d'oliva
40g di fecola di patate
la scorza grattugiata di un limone non trattato
i semi di 1/2 bacca di vaniglia
 
per la decorazione
 
100g di cioccolato fondente
100g di cioccolato al latte
granella di pistacchio
cocco rapè
 
in più ci occorrerà
 
spago da cucina
 
La particolarità della frolla ovis mollis è il modo in cui le uova vengono inserite nell'impasto. Bisogna infatti farle sode. Sembrerà strano mettere dei tuorli sodi in una frolla, ma fidatevi e non ve ne pentirete.

Sgusciate le uova, separate i tuorli dagli albumi senza farli rompere ed adagiateli in un pentolino che avrete riempito con acqua fredda.


 
Portate a bollore su fuoco medio e cuocete per 6-7 minuti. Rimuovete i tuorli ormai sodi dal pentolino, immergeteli in una ciotola con acqua fredda e lasciate raffreddare completamente.
 
Nella ciotola della planetaria inserite lo zucchero a velo e i tuorli che dovrete setacciare - vedi foto - con un colino a maglie strette. Iniziate a lavorare con la foglia, e aggiungete la vaniglia e il limone, quindi procedete incorporando l'olio poco alla volta (e se dovesse rendersi necessario, un goccino d'acqua) alternandolo con farina e fecola setacciate insieme.
Lavorate l'impasto giusto fino a che si raccoglierà intorno al gancio. Ponete in frigorifero a rassodare per un ora.


Dopo il riposo stendete la pasta ad uno spessore di 5 mm e coppatela nella forma che più vi piace. Noi abbiamo realizzato delle carinissime bustine da the, tagliando un rettangolo, al quale abbiamo poi dato la classica forma, formando anche un buchino nella parte alta, in modo da inserirvi uno spago una volta cotti.

 
La frolla è molto delicata, vi consiglio quindi di utilizzare un tarocco per spostarli sulla teglia per non perdere la forma e di lavorare sempre su una superficie leggermente spolverata di farina.

Cuocere a 180° per 10-12 minuti. Attenzione alla cottura: devono diventare appena dorati sui lati. Sfornateli e lasciateli raffreddare sulla teglia per almeno 15 minuti. Quindi trasferiteli su una gratella finché saranno completamente freddi.
 
Una volta freddi, inserite lo spago e formate un cappio, sciogliete i due tipi di cioccolato a bagnomaria e pucciate le estremità inferiori, per 1/3, decorando con granella di pistacchio e cocco rapè per dare l'idea delle foglie di the all'interno della bustina.
 
Riponete in frigo per 30 minuti a solidificare.
Conservate in un contenitore a chiusura ermetica o in un classico contenitore di latta in un luogo fresco ed asciutto.
 


sabato 9 aprile 2016

KIMCHI JJIGAE, OVVERO ZUPPA DI KIMCHI COREANA

Se me l'avessero detto, non ci avrei creduto.
Eppure l'ho fatto. L'ho preparato, fatto fermentare, cucinato e mangiato.
E mi è pure piaciuto.
 
Il Kimchi Jjigae (김치찌개) si pronuncia “chimci cigae” e si può tradurre come stufato è un piatto tradizionale coreano preparato con cavolo cinese e altre verdure fermentate in salamoia.

Jigae indica invece lo zuppone, un po’ lo svutafrigo da noi, e di solito è una pietanza casalinga invernale preparata con quello che si ha in casa in un calderone, dove di solito si gettano i resti della carne, più frequentemente grasso o cotenne di maiale, derivati da altri tagli o preparazioni.
Nei tempi antichi, le popolazioni che vivevano sulla penisola coreana ottennero la padronanza del processo di fermentazione e le prime testimonianze sulla preparazione del Kimchi sono del 12° secolo durante la dinastia Koryo.
Agli inizi il veniva preparato senza l’utilizzo del peperoncino in quanto non era ancora disponibile in Asia e il condimento era preparato con lo zenzero o l’ aglio. Dopo la sua introduzione nel corso del 16 ° secolo, il peperoncino e la polvere di peperoncino divennero gli ingredienti chiave per il Kimchi fino ai nostri giorni.
E' senza dubbio uno dei tesori della cucina coreana e la sua preparazione è parte integrante della cultura coreana: amici, parenti e vicini di casa si riuniscono in autunno, ovvero quando in Corea la stagione della raccolta del cavolo è al culmine, per preparare il Kimchi tutti insieme, durante il cosiddetto kimjang. Le donne coreane ne preparano in gran quantità per poi consumarne poco alla volta durante l’inverno.
In Corea del Sud, il Kimchi è un chiodo fisso per tutto l'anno: esiste un istituto di ricerca del Kimchi, un museo del Kimchi e un festival nazionale del Kimchi. Sono persino riusciti a mandare nello spazio scatolette di Kimchi, per non far mancare ai propri astronauti la pietanza più importante della loro vita! Perché il Kimchi, oltre a essere deliziosamente gustoso, fa anche bene: all'apparato digerente grazie alle sue fibre, al sistema immunitario grazie alle vitamine B e C, previene il cancro, mantiene giovani e pure belli. Un vero toccasana, insomma.

Il periodo di invecchiamento degli ingredienti è fondamentale per far diventare comunissimi ingredienti della cucina quotidiana in prelibati Kimchi: salati e in salamoia, iniziano poi a fermentare, poiché gli zuccheri delle verdure convertono il tutto in acido lattico, acido acetico e anidride carbonica. Più lunga è la fermentazione, più forte diventa il suo sapore: quel gusto pungente, la croccantezza del cavolo accompagnata dalla maliziosa forza della pasta di peperoncino che ci bruciacchia la lingua, il vigoroso effluvio dell'aglio e dello zenzero.
Se non viene preparato in casa, viene acquistato già pronto nei negozi, ma come immaginerete, non è facile trovarlo qui da noi, a meno che di avere un negozio etnico sotto casa che abbia questo piccolo tesoro in barattolo. Nel caso non siate fortunati, armatevi di coraggio e preparate insieme a me in Kimchi in casa, da vere brave massaie coreane!
Dopo varie ricerche e dopo aver vagliato numerose ricette ho seguito le indicazioni di questo video su youtube, di una vera donnina coreana che sembra quasi uscita da un cartone animato e che spiega, in un comprensibilissimo inglese, per filo e per segno, come diventare davvero delle brave cuoche di Kimchi.
 
 
 
Preparate il Kimchi almeno due giorni prima di preparare la Kimchi Jjigae, perché le verdure devono fermentare un po'. Accompagnate questo ricco stufato con del riso bianco, che ne attenua la piccantezza al palato. Non stupitevi dell’abbondanza di elementi piccanti: in Corea la piccantezza è totale confort food…
 
 
Per il Kimchi
 
1 cavolo cinesi (se come me non li trovate fate come mi ha suggerito Acquaviva, e prendete metà cavolo cappuccio e metà lattuga romana)
1 rafano di grandi dimensioni (o 2 rafani più piccoli) - l'ho omesso perché introvabile
1 cipolla grande
2 cipollotti
250 ml di salsa di pesce - oppure per la versione vegetariana potete usare come ho fatto io la salsa di soia.
1 tazza di sale marino fino
6 spicchi d’aglio
3-4 cm di zenzero
1 pera soda (che sostituiscono la ravanello coreano)
1/2 tazza di peperoncino in polvere
½ tazza di farina di riso
1 tazza di acqua
1 cucchiaio di zucchero di canna

 
Per preparare il Kimchi

Dividete a metà il cavolo e la lattuga romana. Bagnateli in acqua fredda, scolateli e poneteli in una ciotola.
Cospargete con il sale fino le foglie, senza staccarle alla base - io ho sbagliato e le ho staccate! - nella parte del gambo mettete un po' più di sale perchè è la parte più dura.
Devono perdere la gran parte dell'acqua contenuta. Ogni 30 minuti girateli in modo che il sale si distribuisca uniformemente.
Nel frattempo preparate la crema di riso: ponete la farina di riso con l'acqua in una pentolina e portate quasi ad ebollizione. Aggiungete lo zucchero di canna, mescolate finchè è ben sciolto. Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare
 
In un mixer tritate la cipolla, lo zenzero e l'aglio, fino a ridurli in una pasta. Mescolate questa pasta alla crema di riso, aggiungete il peperoncino e la salsa di pesce - o la salsa di soia.
 
Mondate e tagliate a listarelle la carota, la pera e i cipollotti. Uniteli alla crema di riso, e mescolate.
 
 
Dopo circa 2 ore e mezzo, i cavoli avranno tirato fuori la maggior parte della loro acqua conservando però parte della loro croccantezza. A questo punto sciacquateli per due-tre volte sotto acqua fredda corrente e fateli scolare bene.
Ora cospargete tutte le foglie del cavolo cinese, senza staccarle se riuscite, con la salsa kimchi che avete preparato e proseguite fino ad esaurimento degli ingredienti.
Riponete il Kimchi così ottenuto in un contenitore a chiusura ermetica e lasciate fermentare a temperatura ambiente per 48 ore.



Trascorso il tempo di fermentazione le verdure avranno acquistato un sapore deciso e pungente, e avranno anche tirato fuori del liquido. Se schiacciando con il dorso di un cucchiaio fuoriesce del liquido da sotto il vostro Kimchi è pronto.
Potete conservarlo da ora in poi in frigo e prelevare, di volta in volta, la quantità che vi occorre.
 

Per preparare il Kimchi Jjigae, la zuppa di kimchi

Ingredienti per 4 persone:

300 g di pancetta fresca di maiale
450 g di tofu sodo
400 g di cavolo kimchi
4 cipollotti o scalogni
1 cipolla
6 spicchi di aglio
15 g di zenzero fresco
3 o 4 cucchiai di gochugaru (peperoncino coreano essiccato in fiocchi)
2 cucchiai di gukganjang (salsa di soia coreana per zuppe)
2 cucciai di salsa di soia
2 cucchiai di burro
1 cucchiaio di gokuchang
1 cucchiaio di doenjang

Tagliare la cipolla e i cipollotti separatamente a fette sottili; grattugiare aglio e zenzero; tagliare la pancetta a fettine quadrate; spremere il kimchi per ricavarne 1 o 32 cucchiai di succo e poi tagliuzzare le foglie; tagliare il tofu a cubotti.


Marinare la pancetta con aglio, zenzero e le due salse di soia per 20 minuti. Versare il tutto in un tegame pesante ben caldo e lasciare che il grasso si sciolga.
Unire la cipolla e il kimchi e saltare fino a che si comincia a sentire un buon profumo.

Unire il succo di kimchi, 700 ml di acqua, gochujang e doengjang e mescolare bene, quindi portare a bollore e, a gusto, unire il gochugaru.

Cuocere una ventina di minuti (o fino a che maiale e kimchi sono teneri), unire il tofu e cuocere altri 5 minuti.

Spegnere, unire i cipollotti e il burro, mescolare bene e portare il tegame in tavola, meglio se su un rechaud. Ogni commensale, che ha di fronte anche una ciotola di riso, si serve a piacere.


Potete trovare questa ricetta anche sul blog del MTC http://www.mtchallenge.it/2016/01/mtc-53-tema-mese-kimchi-jjigae.html


youtube.com

lunedì 4 aprile 2016

PROFUMO DI PRIMAVERA: LA PASTIERA NAPOLETANA

Quest'anno a Pasqua ho portato in tavola questo caposaldo della cucina partenopea: una vera delizia.
Un sapore di altri tempi che ha lo splendido dono di essere sempre e comunque attuale.
 
Secondo una antica leggenda, la pastiera nasce quando sulla le mogli dei pescatori lasciarono sulla spiaggia, nella notte, delle ceste con ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerte per il “Mare”, affinché questo lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi a terra.
Al mattino, ritornate in spiaggia per accogliere i loro consorti, notarono che durante la notte i flutti avevano mischiato gli ingredienti ed insieme agli uomini di ritorno, nelle loro ceste c’era una torta: la Pastiera.
 
Sicuramente questo dolce, con il suo gusto classico poco zuccherino e rinfrescato dai fiori d’arancio, accompagnava le antiche feste pagane per celebrare il ritorno della Primavera: la ricotta addolcita è la trasfigurazione delle offerte votive di latte e miele tipiche anche delle prime cerimonie cristiane, a cui si aggiungono il grano, augurio di ricchezza e fecondità e le uova, simbolo di vita nascente.
L’acqua di fiori d’arancio è l’annuncio della Primavera.


La versione odierna,  fu messa a punto in un antico monastero napoletano rimasto ignoto.
Comunque sia andata, ancor oggi sulla tavola pasquale dei napoletani - e non solo - questo dolce non può mancare.
Un’altra storia molto nota racconta di Maria Teresa D’Austria, moglie del re Ferdinando II° di Borbone, che, cedendo alle insistenze del marito famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera, sorridendo per la prima volta in pubblico. Ferdinando non si fece scappare la battuta: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
 
Pastiera napoletana
 
 
dose per due tortiere da 24-26 cm di diametro
 
per la base
 
3 uova
500g di farina
200g zucchero
200g di strutto
un pizzico di sale
la scorza grattugiata di un limone non trattato
 
per il ripieno
 
700g di ricotta di pecora
580g di grano cotto (si trova in scatola nei supermercati, e si può sostituire con: orzo perlato che va messo a bagno la sera prima e cotto per 30 minuti o del riso a chicco tondo per dolci cotto per circa 20 minuti)
600g di zucchero
1 limone  non trattato
50g di cedro candito
50g di arancia candita
50g di zucca candita
100g di latte
30g di strutto
5 uova intere + 2 tuorli
una bustina di vaniglia (io l'ho sostituita con i semi di 1/2 bacca di vaniglia del Madagascar)
un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio
pizzico di cannella (facoltativo)
 
Sul piano di lavoro disporre la farina e lo zucchero a fontana con al centro lo strutto a temperatura ambiente, le uova e la buccia grattugiata di mezzo limone.
Con una forchetta sbattere le uova al centro della fontana incorporando poco alla volta la farina lo strutto e lo zucchero.
Quando gli ingredienti saranno amalgamati, lavorare la pasta rapidamente senza impastarla, ma soltanto pressandola fino a quando il colore sarà diventato uniforme.
 
Io ho fatto questo procedimento con la planetaria, impastando a velocità 1.5 con la foglia, mantenendo lo stesso ordine degli ingredienti e lavorando comunque poco l'impasto, finché questo si raccoglie in una palla attorno al gancio.
Avvolgere la frolla nella pellicola per alimenti e riporre in frigo a rassodare per almeno 1 ora.
 
Passiamo a preparare il ripieno: versate in una casseruola il grano cotto, il latte, lo strutto e la scorza grattugiata di 1 limone - io a questo punto ho unito anche i semi di vaniglia; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finchè diventa cremoso.
A questo punto io ho frullato il grano con un minipimer, al fine di renderlo ancora più cremoso ed evitare la consistenza grumosa. Spesso infatti nel preparare la pastiera di sceglie di frullare il grano specialmente per andare incontro ai gusti dei più piccoli; provai questa versione della pastiera da una mia amica, napoletana d.o.c. anni fa e me ne innamorai.
 
A parte montate le uova, i tuorli e lo zucchero finché sono ben gonfi e spumosi, aggiungere la ricotta ben setacciata con un setaccio a maglie fine, un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio, e un pizzico di cannella (facoltativo).
Lavorare il tutto fino a rendere l'impasto ben omogeneo. Aggiungere una grattata di buccia di un limone e i canditi tagliati a dadi (io li ho omessi perché in famiglia non piacciono, se volete comunque arricchire la pastiera, evitando i canditi potete aggiungere 100g di gocce di cioccolato fondente). Amalgamare il composto con il grano frullato.  

Prendete la pasta frolla dal frigo, stendetela con un mattarello fino allo spessore di circa 1/2 cm e rivestite le teglie; ritagliate la parte eccedente che terrete da parte per ricavarne le strisce per completare la superficie della pastiera.

Versate il composto di ricotta nella teglie, dividendolo in parti uguali, livellatelo, ripiegate verso l'interno i bordi della pasta e decorate con la pasta avanzata che stenderete sempre a 1/2 cm di spessore e da cui ricaverete delle strisce che posate sulla superficie della pastiera formeranno la tipica grata.


Infornate a 180° per un'ora e mezzo, ovvero fino a quando la pastiera non avrà preso un colore ambrato; lasciate raffreddare completamente e, prima di servire, spolverizzate con zucchero a velo.

Preparatela un giorno o due prima, in modo che tutti i sapori e i profumi si siano completamente amalgamati tra di loro. Secondo la tradizione viene preparata il giovedì o il venerdì santo, per essere poi gustata la domenica.


La pastiera si conserva in frigo per 4-5 giorni.  


fonti: http://www.lucianopignataro.it/
http://www.pastiera.it/

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